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12 maggio 2018
Reati Fiscali e divieto di ne bis in idem: Art. 4 Protocollo 7 CEDU

 Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio: l’Art. 4 Protocollo 7 CEDU

Il divieto di bis in idem è sancito nell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea rubricato «Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato» che così recita: “Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”e nell'art. 4 del Prot. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) rubricato «Diritto a non essere giudicato o punito due volte» che così recita: Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale stato

Il suddetto principio di matrice Europea è stato più volte declinato dalle Alte Corti che con le proprie sentenze interpretative ne hanno delimitato l'estensione (9 marzo 2006, C-436/04; 26 febbraio 2013, C-617/10 “Caso Fransson”; 5 giugno 2014, C-398/12) e le modalità applicative (4 marzo 2014 “Caso Grande Stevens”; 20 maggio 2014, “Caso Nikanen”; 20 maggio 2014 “Caso Glantz”; 20 maggio 2014 “Caso Hakka”; 27 novembre 2014 “Caso Lucky Dev”; 27 gennaio 2015 “Caso Rinas”).

In particolare, la Corte EDU, prescindendo dalla classificazione giuridica delle sanzioni offerta da ciascuno Stato membro, ha elaborato una serie di criteri – per la prima volta definiti nel “Caso Engel c/ Paesi Bassi” del 08.06.1976 - volti a definire il carattere penale dei procedimenti e delle sanzioni nazionali e conseguentemente estendere le garanzie convenzionali.

In altri termini, secondo gli Engel’s criteria al fine di stabilire la natura penale della sanzione occorre avere riguardo: 

a)    alla qualificazione giuridica della violazione nell’ordinamento interno;

b)    alla natura effettiva della violazione;

c)    al grado di severità della sanzione. 

 

Il primo criteriorappresenta il punto di partenza dell'analisi posto che, se l'ordinamento interno qualifica la sanzione in esame come “penale” non sarà necessario valutare anche gli elementi sostanziali dell'illecito.

Il secondo criteriomira invece a verificare se:

(i) la norma che prevede la sanzione è posta a tutela del funzionamento di una determinata formazione sociale oppure è diretta erga omnes a garanzia dei beni giuridici della collettività;

(ii) la sanzione viene irrogata da un'autorità pubblica a cui lo Stato conferisce poteri sanzionatori;

(iii) la norma sanzionatoria ha funzione deterrente e repressiva e non risarcitoria del danno arrecato dall'illecito;

(iv) l'irrogazione della sanzione è subordinata alla responsabilità personale dell'autore dell'illecito.

ll terzo criterio, infine, attiene alla valutazione della gravità della sanzione irrogabile in rapporto al suo massimo edittale.

 

Questi criteri sono stati poi successivamente chiariti e precisati anche con riferimento alle varie ipotesi sanzionatorie da numerose sentenze della stessa Corte, ed in particolare per quel che ci riguarda dalla sentenza Grande Stevens c/Italia del 04 Marzo 2014 in materia finanziaria, e soprattutto per quanto riguarda la materia tributaria dalla sentenza Nykanen c/ Finlandia del 20 Maggio 2014 secondo cui hanno natura sostanzialmente penale quegli illeciti, anche se formalmente classificati “amministrativi” secondo la legge nazionale, cui corrispondono sanzioni che indipendentemente dal nomen iuris:

a.     sono previste da una norma di legge generale applicabile a tutti i contribuenti;

b.     non hanno una funzione compensativa del danno erariale arrecato;

c.     realizzano una chiara funzione punitiva e deterrente al pari di quelle formalmente definite “penali”.

Da ciò deriva che l'applicazione del ne bis in idem implica secondo la Corte di Strasburgo due tipi di accertamento: quello dell'identità del fatto materiale, intesa come sovrapponibilità delle condotte nello spazio e nel tempo, su cui si fondano i distinti procedimenti giurisdizionali e quello della natura (penale) dell'illecito su cui detti procedimenti vertono. Verificata la sussistenza di tali presupposti, deve considerarsi vietata la duplicazione delle sanzioni (cd. ne bis in idem sostanziale) e/o la duplicazione dei procedimenti (cd. ne bis in idem processuale) atteso che la perseguibilità dell'idem factum sia come illecito amministrativo sia come reato comporterebbe la violazione del principio in esame.

 

Questo orientamento della giurisprudenza della Corte EDU, che è risultato essere granitico quanto meno fino al caso trattato dalla Grande Camera A e B c/ Norvegia del 15 Novembre 2016, si scontra ovviamente con la disciplina nazionale.

Nell'ordinamento italiano, infatti, innanzitutto il divieto di bis in idem è sancito esclusivamente nell'ambito della giurisdizione penale, precisamente nell'art. 649 c.p.p.rubricato «Divieto di un secondo giudizio». Di conseguenza, posto che tutti i reati cd. tributari, contemplati dal D.Lgs. n. 74/2000, presuppongono condotte sanzionate anche ai sensi del D.Lgs. n. 471/1997, che prevede le corrispondenti sanzioni tributarie, non di rado si assiste al cumulo di norme punitive di natura solo formalmente diversa, ossia amministrativa e penale, a carico del medesimo soggetto.

Come noto, il D.Lgs. n. 74/2000, nel disciplinare organicamente i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, appare orientato al principio del cd. “doppio binario” sanzionatorio. L'art. 13 del citato decreto, infatti, prevede espressamente la possibilità di cumulare (seppur con le eccezioni che si illustreranno in seguito) la sanzione penale e quella amministrativa irrogata ai sensi dei decreti legislativi n. 471/1997 e n. 472/1997, non ravvisando il Legislatore alcuna violazione del divieto di bis in idem né in caso d'irrogazione cumulativa di sanzioni aventi natura penale e formalmente amministrativa, né nel caso di contemporanea pendenza di procedimenti penali e amministrativi, oggetto di diversa giurisdizione a fronte dell'idem factum. 

La questione del doppio binario sanzionatorio nazionale 

La questione attinente il cumulo sanzionatorio e la sovrapposizione dei processi nell'ordinamento nazionale ha generato negli anni un aspro dibattito in dottrina e giurisprudenza. Il principio del doppio binario previsto dalla legislazione italiana per gli illeciti tributari e l'applicabilità cumulativa in relazione allo stesso fatto delle sanzioni previste dal decr. leg.vo 471/1997 e dal decr. leg.vo 74/2000 sembrano, infatti, violare il parametro costituzionale di cui all'art. 117, primo comma, della Costituzione in relazione all'art. 4 del Protocollo 7 alla CEDU in forza del quale «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». 

In un primo momento la questione del cumulo delle sanzioni sembrava poter essere risolta dal Legislatore mediante l'introduzione nel nostro ordinamento, con specifico riferimento alla materia tributaria, del principio di specialità di cui all'art. 19 del D.Lgs. n. 74/2000, in base al quale «quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II del decreto in esame e da una che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale».

Disegnando il rapporto tra i due procedimenti, penale e amministrativo, e prevedendo la prevalenza della norma speciale laddove la medesima fattispecie fosse punita sia dalla disciplina sanzionatoria penale che da quella formalmente amministrativa, la norma avrebbe dovuto prevenire la violazione del ne bis in idem sanzionatorio.

Il Legislatore del 2000, tuttavia, non aveva tenuto conto della notevole complessità dell'individuazione del carattere di specialità della norma, idonea a garantire l'applicazione della sola sanzione penale in luogo di quella amministrativa, con la conseguenza che – di fatto – l'art. 19 del citato decreto non si è dimostrato in grado di garantire l'auspicato rispetto del principio del ne bis in idem.

Nel segno del superamento della controversa e contestata duplicazione delle sanzioni  deve leggersi pure l'introduzione del successivo art. 21 del D.Lgs. n. 74/2000 che, pur disponendo che le sanzioni amministrative per le violazioni penalmente rilevanti sono irrogate dall'Ufficio e sono oggetto di esame nel processo tributario, ha previsto la sospensione della loro riscossione fino alla fine del processo penale.

Anche in questo caso la cautela prevista dal Legislatore del 2000, pur pensata per evitare il bis in idem sostanziale, non è risultata idonea a contrastare la duplicazione dei processi. 

Con specifico riferimento agli illeciti commessi in violazione della disciplina IVA, dirimente ma discusso è apparso nel 2013 l'intervenuto della Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 37424. I giudici di legittimità, infatti, chiamati a sciogliere il contrasto insorto in relazione al rapporto tra l'illecito amministrativo di cui all'art. 13 del D.Lgs.n. 471/1997e quello penale di cui all'art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000, hanno escluso che tra le due norme sussista un rapporto di specialità e hanno invece ritenuto configurabile un rapporto di progressione criminosa. 

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter, D.Lgs. n. 74/2000), che si consuma con il mancato pagamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore ad una determinata soglia, entro la scadenza del termine per il pagamento dell'acconto relativo al periodo di imposta dell'anno successivo, non si pone in rapporto di specialità ma di progressione illecita con l'art. 13, comma primo, D.Lgs. n. 471/1997, che punisce con la sanzione amministrativa l'omesso versamento periodico dell'imposta entro il mese successivo a quello di maturazione del debito mensile IVA, con la conseguenza che è legittimo applicare al trasgressore entrambe le sanzioni. 

La soluzione offerta dal decreto "Sanzioni" 

Con le modifiche normative contenute nel D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (cd. decreto "Sanzioni") avente ad oggetto la "Revisione del sistema sanzionatorio", il Legislatore nel ridisegnare il sistema delle sanzioni penali-tributarie, con effetto dal 22 ottobre 2015, sembra aver previsto un meccanismo potenzialmente idoneo ad evitare il cumulo della sanzione amministrativa con quella penale in capo al responsabile di condotte illecite connesse agli obblighi di versamento.

La scelta è stata quella di prevedere l'estinzione del debito tributario come una causa di non punibilità.

In particolare, il novellato art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000 prevede che il pagamento del dovuto, comprensivo di interessie sanzioni amministrative, entro specifici termini, comporta l'esclusione della punibilità (in luogo della previgente mera riduzione di pena) per i reati di omesso versamento di IVA (art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000), di ritenute (art. 10-bis, D.Lgs. n. 74/2000) e di indebita compensazione (art. 10-quater comma 1 D.Lgs. n. 74/2000) se esso avviene prima dell'apertura del dibattimento di primo grado. 

Inoltre la norma prevede l'irrilevanza penale dei reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione di cui agli artt. 4e 5 del D.Lgs. n. 74/2000 se il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa intervengano prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Per tutti gli altri reati disciplinati dal D.Lgs. n. 74/2000,invece, il pagamento del debito comporta la riduzione della pena.

Il meccanismo di non punibilità e la riduzione della pena in funzione della piena soddisfazione dell'erario diventano così un incentivo per il contribuente a regolarizzare la propria posizione fiscale per godere di un alleggerimento della risposta sanzionatoria prevista dall'ordinamento.

Tuttavia, non sono mancate le prime risposte giurisprudenziali (fra tutte Tribunale di Torino del 27.10.2014 e Tribunale di Bergamo del 16.09.2015) che hanno invece evidenziato le gravissime lacune di tali norme e soprattutto la loro evidente inutilità ed illegittimità per palese contrasto con il principio del ne bis in idem in quanto il sistema delineato dagli art. 19 e segg. del decr. leg.vo 74/2000 secondo cui il procedimento penale e quello amministrativo debbono procedere separati, che nessuno dei due debba essere sospeso in attesa della definizione dell’altro, che l’ufficio competente irroghi comunque la sanzioni amministrative relative alla violazione finanziarie oggetto della notizia di reato, che tuttavia tali sanzioni non siano eseguibili salvo che il processo penale sia definito con archiviazione o con sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento, solo in astratto scongiura il pericolo che sanzione amministrativa e sanzione penale si cumulino in capo allo stesso responsabile, essendo invece in concreto possibile che un soggetto sia sottoposto a procedimento penale dopo che gli sia stata inflitta una sanzione amministrativa in via definitiva; sistema che, come brillantemente rilevato dal Tribunale di Bergamo nella sentenza in questione: “entra in palese contraddizione con se stesso nel momento in cui è prevista all’art. 13 del medesimo decr. leg.vo l’attenuante speciale del pagamento del debito tributario, pagamento che, per espressa dizione del comma 2 deve riguardare anche le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie, sebbene non applicabili all’imputato a norma dell’art. 19, con la paradossale conseguenza quindi che, chi voglia godere di benefici in sede penale, deve volontariamente rinunciare al divieto del ne bis in idem. 

 

Corte EDU – Grande Camera del 15 Novembre 2016: Il Caso A e B c/ Norvegia  

L’imbarazzo notevole, non soltanto dell’ordinamento italiano ma anche di tutti quegli ordinamenti interni, che come il nostro prevedevano il doppio binario sanzionatorio in materia di violazioni tributarie, di non riuscire in alcun modo a conformare i propri principi al granitico dettato della Corte EDU, alla fine è stato risolto dalla stessa Corte che con la sentenza in questione per la prima volta compie, secondo alcuni un vero e proprio revirementdel proprio convincimento, secondo altri quanto meno fornisce una via di uscita a tali ordinamenti.

In effetti, con la sentenza Corte EDU – Grande Camera del 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, sui ricorsi n. 24130/11 e 29758/11, con riferimento al fraudolento occultamento di redditi ed omesso versamento delle imposte per le quali era stata applicata in via amministrativa la sanzione del pagamento del 30% dell’imposta evasa, la Corte ha chiarito che la scelta legislativa interna di prevedere in materia tributaria un doppio binariopenale ed amministrativo, per lo “stesso fatto” non può essere suscettibile di sindacato e non è ex se in contrasto con il divieto di doppio giudizio sancito dall'art. 4, Protocollo n. 7 della Convenzione. Ha, inoltre, indicato le condizioni ed i requisiti per i quali può ritenersi legittimo il doppio binario sanzionatorio, dovendo essere garantito uno svolgimento parallelo e la connessione tra i procedimenti secondo una “stretta connessione sostanziale e temporale, (come già espresso dalla precedente sentenza CEDU n. 73661/01, del 13 dicembre 2005, Nilsson v. Sweden), in modo che lo sviluppo prevedibile e proporzionato dei diversi procedimenti possa escludere il rischio di una ingiusta duplicazione della sanzione.

Nella prospettiva di un equilibrato bilanciamento tra gli interessi del singolo e quelli collettivi, la Corte ha dunque valorizzato il criterio della "sufficiently close connection in substance and time" ricavato da parte della propria precedente giurisprudenza, purché esistano meccanismi in grado di assicurare risposte sanzionatorie nel loro complesso proporzionate e, comunque, prevedibili. Tale condizione consente, inoltre, di evitare "per quanto possibile" duplicazioni nella raccolta e nella valutazione della prova.

Le prime applicazioni nel giudizio penale dei criteri dettati dalla Corte EDU sul caso A e B c. Norvegia

L’assist dato dalla sentenza in questione agli ordinamenti interni non poteva certo non essere colto al volo, ed in effetti a distanza di qualche mese si è assistito alla prima pronuncia della Consulta sul punto, e a ben tre sentenze gemelle della Corte di Giustizia ed infine ad un intervento dirimente della Suprema Corte.

Sentenza della Corte Costituzionale n, 43 del 24 Gennaio 2018  

La necessità di orientare secondo i criteri dettati dalla sentenza sul caso A e B c. Norvegia la valutazione circa il perimetro applicativo del divieto di doppio giudizio di matrice convenzionale e la sua sussumibilità all'interno della previsione di cui all'art. 649 cod. proc. pen., è stata fatta propria dalla Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 43 del 24.01.2018 e, ancor prima, con la sentenza Corte Cost. 8 marzo 2016, n. 102 che, interpretando l'idem factum dell'art. 649 c.p.p. in senso naturalistico, esclude la sussistenza di un potenziale contrasto tra la norma processuale e la disciplina convenzionale di cui all'art. 4 prot. 7.

Il caso riguardava un processo penale nei confronti di un soggetto imputato per il delitto di omessa dichiarazione Irpef e Iva al fine di evadere le relative imposte (art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 74/2000) al quale era stata già irrogata in via definitiva la sanzione in via amministrativa prevista dagli artt. 1, comma 1, e 5, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997 (con una sanzione pari al centoventi per cento delle imposte evase).

Il giudice rimettente nella specie aveva ritenuto che la prosecuzione del procedimento penale nei confronti del contribuente già sanzionato in via amministrativa costituiva una violazione del ne bis in idem convenzionale e, in assenza di una previsione nell'ordinamento interno di una norma che ampli la sfera applicativa del principio anche ai casi di interferenza e sovrapponibilità tra (illecito e) sanzione penale ed amministrativa, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., per contrasto con la l'art. 4, Prot. 7 Convenzione EDU, nell'interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo e, mediatamente, con l'art. 117, comma 1, Cost.

La Corte, chiamata a pronunciarsi sul punto, ha individuato come oramai ”diritto consolidato”, da cui il giudice nazionale non può discostarsi, l'interpretazione dell'art. 4, prot. 7 della Convenzione fornita dalla Grande camera in A e B c. Norvegia, soprattutto con riferimento alla puntualizzazione del criterio della close connection ed alla sua applicazione a casi in cui è possibile un autonomo apprezzamento dei medesimi fatti da parte delle autorità penali e amministrative parallelamente procedenti.

In particolare, secondo la Corte l'interpretazione della Corte Edu ha mutato la natura del principio di ne bis in idem convenzionale, divenuto non più circostanza tout court preclusiva del secondo giudizio («regola inderogabile conseguente alla sola presa d'atto circa la definitività del primo procedimento»), ma oggetto di apprezzamento discrezionale dell'autorità (giudiziaria od amministrativa) in ordine alla sussistenza e alla natura del nesso che lega i due procedimenti. In tal modo il principio non resta confinato in ambito processuale ma diviene «criterio eminente per affermare o negare il legame materiale» relativo all'entità della sanzione complessivamente irrogata.

Ciò comporta la possibilità di «coordinare nel tempo e nell'oggetto tali procedimenti, in modo che possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un'unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all'entità della pena (in senso convenzionale) complessivamente irrogata».

Nel caso di specie, quindi, applicando i suddetti parametri dettati dalla giurisprudenza della Corte EDU, non si è ravvisata alcuna violazione dell'art. 4 prot. 7 della Convenzione EDU perché si è realizzata la condizione della stretta connessione temporale tra i due procedimenti, che costituisce l'elemento per ritenere che le due sanzioni irrogate possano essere considerate quali parti di un unico sistema sanzionatorio adottato da uno Stato per colpire la commissione di un medesimo fatto illecito e pertanto la Corte ha ritenuto di dover restituire gli atti al Giudice a quo per consentire a quest’ultimo una nuova valutazione alla luce del nuovo orientamento della Corte Edu espresso nella sentenza A. e B c/ Norvegia.

 

Le linee interpretative del divieto di “bis in idem” dettate dalla Corte di Giustizia

La Grande Sezione della Corte di Giustizia, con tre sentenze gemelle del 20 Marzo 2018, ha inteso cristallizzare l'interpretazione del divieto di “bis in idem” previsto l'art. 50 CDFUE sulle nuove linee dettate dalla Corte EDU in tema di reati tributari e di violazioni finanziari (market abuse).

In particolare per quanto riguarda i reati tributari, nella causa Menci (C-524/15), decidendo sul rinvio pregiudiziale operato dal Tribunale di Bergamo nell'ambito di un procedimento penale per il delitto di cui all'art. 10-bis, D.Lgs. n. 74/2000 nei confronti di un imputato cui era stata già inflitta, in via definitiva, una sanzione pecuniaria nel procedimento tributario ex art. 13 D.Lgs. n. 471/1997, pari al 30% dell'imposta non versata, ha condiviso la definizione della Corte EDU di idem factum nella sua dimensione sostanziale e non di mera qualificazione giuridica (§§ 34-39) e la ricerca di un carattere di afflittività della sanzione (penale) formalmente qualificata come amministrativa (§§ 26-33).

Inoltre, pur se afferma la natura fondamentale del diritto al divieto di cumulo di sanzioni sostanzialmente penali relative allo stesso fatto storico, riconosce che in presenza di determinate giustificazioni tale diritto può essere compresso entro i limiti dettati dall'art. 52 § 1 CDFUE.

Onde assicurare la conformità delle limitazioni applicative del divieto con l'art. 50, la Corte si affida alle indicazioni elaborate dalla CEDU. La tenuta del sistema del doppio binario sanzionatorio è condizionata, dunque, al fatto che:

a)   le plurime sanzioni irrogabili per un medesimo fatto rispondano a un interesse generale che ne giustifichi il cumulo, nel rispetto del principio di proporzionalità e del rapporto di complementarietà tra le sanzioni, ciò comporterà la piena prevedibilità dell'applicazione di un sistema di doppio binario sanzionatorio (tassatività dei casi e condizioni di cumulo di procedimenti e di sanzioni, sub §§ 42-43);

b)   sia garantito il coordinamento, ma non la contemporanea trattazione, tra i procedimenti, onde evitare oneri procedurali (§§ 52-54);

c)   sia garantito il principio di proporzione della pena, limitando nella misura strettamente necessaria la portata complessiva delle sanzioni irrogate. In tal senso, secondo la Corte di Giustizia la norma interna prevede una serie di regole idonee a garantire che le sanzioni imposte siano strettamente limitate a quanto necessario rispetto alla gravità del fatto commesso (§§ 54-57).

L'art. 21 del D.Lgs. n. 74/2000, in particolare, non solo consente la sospensione dell'esecuzione forzata delle sanzioni amministrative nel corso del procedimento penale, ma prevede anche che la condanna penale dell'interessato osta definitivamente a tale esecuzione. Inoltre, il pagamento volontario dell'intero debito tributario (quindi, anche delle sanzioni) costituisce circostanza attenuante speciale incidente sulla determinazione della pena.

La giurisprudenza interna: in particolare Cassazione sez. III 14 Febbraio 2018 n. 6993 

Ovviamente i riflessi di questo nuovo orientamento dettato dalla Corte Edu nel caso A. e B c/ Norvegia non potevano non sentirsi anche nella giurisprudenza interna soprattutto dopo l’arresto della Consulta del Gennaio di questo anno. 

Fino a quel momento, tuttavia, la giurisprudenza interna, come già innanzi esposto, si era mossa nel senso di escludere la “medesimezza del fatto”, poiché ad esempio in materia di omesso versamento IVA dall’analisi delle diverse fattispecie previste dalla norma amministrativa e da quella corrispondente penale si poteva assistere ad un fenomeno di progressione criminosa (in tal senso anche il Tribunale di Lecce con sentenza n. 3760 del 16.12.2015) e successivamente dietro le spinte sempre più pressanti della Corte Edu, nel senso di escludere che il divieto di doppio giudizio sul piano esclusivamente processuale potesse rilevare nei casi in cui “non sia fornita la prova della definitività della sanzione amministrativa” (Cass. pen., 12 maggio 2016, n. 27814; Cass. pen., 13 luglio 2016, n. 42470; Cass. pen., 15 gennaio 2016, n. 1376; Cass. pen., 13 luglio 2016, n. 381349).

In tal senso anche la Corte d’Appello di Lecce sentenza n. 691/2017 del 28/04/2017 che pur condividendo la necessità della piena applicazione nel nostro ordinamento del principio di cui all’art. 4 protocollo 7 della Convenzione Edu esclude la violazione del divieto del bis in idem quando manchi la prova della definitività della erogazione della sanzione amministrativa.

Nella sentenza in questione, invece, si assiste alla piena applicazione nell’ordinamento interno dei principi di cui al caso A. e B. c/ Norvegia in quanto la Suprema Corte ha chiaramente affermato che: “In tema di illecito tributario non viola il principio del ne bis in idem di cui all'art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU - grande Camera del 15 novembre 2016, sui ricorsi n. 24130/11 e 29758/11, caso A e B c. Norvegia, e di cui all'art. 50 del TFUE, la condanna penale per reati tributari (nella specie, previsti e puniti dagli artt. 2 e 8 del D.Lgs. n. 74/2000) che segua l'irrogazione di una sanzione amministrativa per violazioni di analoga natura con provvedimento definitivo, se in concreto si è verificato uno sviluppo parallelo e la connessione temporale tra il procedimento penale e quello amministrativo, non trovando applicazione in tali casi la disciplina prevista dall'art. 649 c.p.p.”.

Al riguardo c’è da sottolineare tuttavia che la sentenza in questione è stata dettata dalla particolarità del caso che si attagliava perfettamente ai nuovi criteri elaborati dalla Corte Europea atteso che la notifica dell'avviso di accertamento con la contestazione dell'illecito tributario e dell'atto di irrogazione delle sanzioni era intervenuta nel corso del procedimento penale, conclusosi pochi mesi dopo in primo grado, circostanza questa che, secondo la Corte, aveva dunque realizzato quella situazione di contemporaneità dell'irrogazione delle due sanzioni a pochi mesi di distanza e, dunque, la richiesta condizione della "connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta" tra i due procedimenti sanzionatori.

 

Conclusioni 

Alla luce di questa evoluzione giurisprudenziale sia del diritto convenzionale e dell’unione sia del corrispondente diritto interno, non v’è dubbio che oggi spetta all'autorità (giudiziaria) che procede la valutazione discrezionale della sussistenza della realizzata connessione tra i paralleli procedimenti sanzionatori al fine di escludere la violazione del divieto di doppio giudizio e sanzione.

Tuttavia, non v’è dubbio che il criterio della close connection di cui alla sentenza A. B. c/ Norvegia presenta estremi di vaghezza ed imprecisione difficilmente colmabili.

In effetti, la stessa giurisprudenza della Corte EDU in tema di ne bis in idem appare, del resto, non lineare, atteso che pochi giorni dopo la decisione sul caso A e B c. Norvegia, la medesima Corte ha riconosciuto la violazione dell'art. 4, prot. 7, in un caso di doppio binario sanzionatorio e penale in materia tributaria (Corte EDU, sez. 1, sent. 18 maggio 2017, Jóhannesson e A. c. Islanda, ric. n. 22007/11).

In tale ultima pronuncia, la Corte ha in concreto escluso la sussistenza di una connessione “sostanziale” e temporale tra i procedimenti e le sanzioni applicate in ragione dell'indipendenza della attività di indagine rispetto alla verifica fiscale, conclusa con una condanna dei ricorrenti intervenuta ad oltre otto anni dal momento in cui l'amministrazione tributaria aveva per la prima volta denunciato i fatti alla polizia.

In effetti, l'indipendenza del procedimento penale da quello sanzionatorio tributario finisce per rendere labili i confini del requisito della “stretta connessione” (almeno sotto il profilo del dato temporale), poiché nella grande maggioranza dei casi, l'avvio del processo penale avviene spesso dopo la definitività di quello irrogativo della sanzione tributaria, pertanto il suggerimento è quello di continuare a sollevare la questione della violazione del divieto del ne bis in idem facendo tuttavia attenzione a dotarsi di prove certe idonee a dimostrare proprio quella indipendenza del procedimento amministrativo, poiché ad esempio già abbondantemente concluso, rispetto al processo penale.

 Avv. Carlo Congedo

(relazione tenuta al convegno "Il Giusto Processo Europeo a tutela dei Diritti Fondamentali in ambito penale e tributario" organizzato da Avvocati per i Diritti Umani - ADU Lecce)