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06 febbraio 2016
Il fallimento esattoriale

Le recenti direttive e circolari dell’agente di riscossione che prevedono la possibilità, ed anzi, la necessità per lo stesso di dover procedere alla promozione di una procedura fallimentare quando l’intera posizione debitoria nei confronti degli Enti impositori è pari o superiore ad € 500.000,00 impongono agli operatori del diritto un’attenta messa a fuoco sulle sempre più frequenti problematiche ed interazioni che si generano onde svilirne l’apparente cripticità anche al fine di restituire ad un contesto di legittimità, ancor prima che di equità, i comportamenti del concessionario.

 
Prima di addentrarsi nel merito del “peculiare” modus agendi di Equitalia – Concessionario d’elezione nel fenomeno riscossorio - pare doveroso calarne sviluppi ed implicazioni all’interno di una frastagliata cornice normativa che rinviene il suo primordiale segmento nell’art. 4 L.F, norma, questa, contemplante il c.d. Fallimento fiscale, poi abrogata dalla novella del 2006. Malgrado il suddetto intervento abrogatore, la tematica del fallimento fiscale ha continuato a ricevere espressa regolamentazione altrove ovvero nel paradigma normativo dell’art. 97, comma 3 d.p.r. 602/1973 nella misura in cui prevedeva che il fallimento potesse essere dichiarato sulla semplice istanza dell’Intendenza di Finanza per la morosità di una rata o di più rate d’imposta dell’importo superiore a L. 500.000, purchè iscritte a ruolo e nonostante la pendenza innanzi alle Commissioni tributarie, senza che il Tribunale dovesse accertare l’esistenza dello stato d’insolvenza né sentire le parti o accordare dilazioni.
 
Ma la censura da parte del Giudice delle Leggi non tardò ad arrivare: la norma fu prima travolta da una pronuncia di incostituzionalità e successivamente bandita dal novero delle fonti in virtù dell’espressa abrogazione, cosi da relegare nell’oblio la tematica attinente al c.d. fallimento fiscale, alla cui reviviscenza, però, ha provveduto il D.L. 138 del 2002, art. 3, che, riformulando il D. P. R. n. 602 del 1973, all’art. 87 ha così previsto “il Concessionario può, per conto dell’Agenzia delle entrate presentare il ricorso di cui al R. D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 6”.
 
Questo lo “stato dell’arte” della disciplina facente capo al cd. fallimento fiscale, ineludibile riferimento da cui partire al fine di coglierne le criticità.
 
Ed infatti, l’aspetto maggiormente critico pertiene l’atteggiarsi del fenomeno della riscossione delle entrate di natura diversa da quella tributaria all’interno della procedura fallimentare e, più in particolare, l’accertamento del diritto di credito cui è strettamente correlata l’individuazione dell’Ente impositore.
 
Trattasi di una questione che compendia tanto implicazioni di natura dogmatico-giuriudica quanto conseguenze di natura squisitamente “pratica” specie alla luce delle sempre più pressanti – e non sempre fondate – pretese riscossorie di Equitalia che, come sappiamo, con riferimento a gran parte delle entrate tributarie, opera in veste di Concessionario vale a dire alla stregua di un adiectus solutioni causa e, pertanto, nella suddetta veste, ritiene di poter dare l’incipit all’iter fallimentare in virtù dell’iscrizione a ruolo di un credito anche diverso da quello tributario; in aperta violazione del dettato normativo.
 
Ebbene, se per i crediti di natura tributaria il Concessionario agirebbe in virtù di una legittimatio ad causam e ad processum incontrovertibilmente riconosciutegli dalla legge – sul punto, il disposto dell’art. 87 del d.p.r. n. 602/1973 così come modificato dall’art. 3 del D.L. 8 Luglio 2002 n. 138 non lascia spazio ad interpretazioni di natura contraria -, per i crediti di diversa natura, in particolare per i crediti INPS non vi è una disposizione analoga, il che è sufficiente ad addebitare al Concessionario un difetto di legittimatio ad causam che gli costa, l’estromissione dall’alveo dei soggetti istanti legittimati ex art. 6 L.F.
 
In questo contesto, ossia riportando il ruolo del concessionario nell’alveo dei soggetti legittimati a presentare l’istanza di fallimento in quanto creditori, è ovvio che l’analisi della legittimazione ad agire non può fermarsi solo all’aspetto soggettivo della capacità di impulso processuale ma anche all’aspetto preliminare della sussistenza effettiva della titolarità del credito azionato.
 
La questione non è di poco conto tenuto conto della prassi di Equitalia di depositare il ricorso per la dichiarazione di fallimento, allegando soltanto un estratto del ruolo riguardante il debitore.
 
Ne consegue che la questione della legittimazione ad agire del Concessionario non può non investire anche il problema della prova dell’avvenuta notifica al debitore delle cartelle esattoriali oggetto del credito azionato, proprio ai fini della sussistenza della titolarità del credito e quindi della legittimazione ad agire ai sensi dell’art. 6 L.F..
 
La decisiva rilevanza riconosciuta all’adempimento dell’onere di notificazione del Concessionario si spiega in considerazione del fatto che il debitore ha cognizione dell’iscrizione a ruolo a suo carico solo ed esclusivamente attraverso la cartella di pagamento; solo a partire da questo adempimento, infatti, il credito diviene conoscibile tant’è che, a norma dell’art. 21 D. lgs. 31 Dicembre 1992 n.546 la notificazione della cartella vale come notificazione del ruolo. D’altronde, l’intransigenza della disciplina che fa capo alla prova del credito è con tutta evidenza speculare a garantire pienamente, rendendolo effettivo, il diritto di difesa del debitore.
 
Sull’annosa questione della regolarità della notifiche eseguite da Equitalia, non è il caso di dilungarsi in questa sede anche perché sarà oggetto di altro più specifico intervento, tuttavia è bene ribadire, proprio al fine di individuare la regola generale cui confrontarsi ogniqualvolta è necessario accertare la legittimità della notifica della cartella di pagamento, che anche il Concessionario deve effettuare le notifiche secondo le regole generali di cui agli art. 138 e seguenti del c.p.c., così come interpretate dalla Suprema Corte (si veda per tutte la sentenza della Cassazione Sez. tributaria del 21 Luglio 2011 n. 16050 secondo cui si deve ritenere oramai parte del diritto vivente il principio secondo cui l’avviso di ricevimento della notifica ex art. 140 c.p.c. deve ritenersi indispensabile ai fini del consolidamento del procedimento notificatorio).
 
Le suesposte riflessioni sono il frutto di una semplice presa d’atto del dato normativo, così come interpretato e fatto proprio oramai da tutta la giurisprudenza di legittimità, la cui chiarezza, se da un lato scoraggia ogni tentativo di “sabotaggio ermeneutico” della norma da parte di quanti vorrebbero riconoscere ad Equitalia una legittimatio ai confini della sacralità”, dall’altro, testimonia l’opportunità del richiamo al granitico costrutto “in claris non fit interpretatio”.
 
(In tema si rimanda al Provvedimento del Tribunale di Lecce Sez. Commerciale n° 216/10 del 23.05.2011, pubblicata sul sito www.dirittoperillavoro.it)
 
Avv. Carlo Congedo